Carnia, terra di confine. E anche questa pagina a volte sconfina in altri luoghi, veri o metaforici

amore, bellezza, fiori, natura, riflessioni

Il linguaggio dei fiori

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No, non mi riferisco a “rose gialle, gelosia/rose rosse, passione”, etc.
Intendo proprio a quello che i fiori, e le piante in generale, ci dicono.
Basta ascoltarle e osservarle, loro ci dicono tante cose…
I primi germogli ci dicono che l’inverno sta finendo, le giornate si stanno allungando, e i raggi del sole, più caldi e vicini, accarezzano la nostra pelle meno coperta e la terra, risvegliandola dal letargo e facendo scorrere più veloce la linfa nelle piante, che producono le prime foglioline di un color oro pallido.

Niente che sia d’oro può durare… scrive Robert Frost nella sua poesia che in pochi versi esprime tutto lo stupore, la meraviglia per la bellezza della Natura ma anche la malinconia per la caducità della bellezza e della vita.
Come disse bene Eco, tradurre è dire quasi la stessa cosa, e questo vale soprattutto in poesia, quando il ritmo, la musicalità di una lingua vengono persi o per lo meno cambiati – non in meglio – nella traduzione. Ma con buona approssimazione, possiamo accettare questa traduzione di Nothing Gold Can Stay di Frost.

(Se non la conoscevate già, sono sicura che d’ora in poi, guarderete in modo diverso il colore verde dorato delle prime foglioline che spuntano in primavera!)

Nature’s first green is gold,                         In Natura il primo verde è oro,

Her hardest hue to hold.                             la tinta più difficile da mantenere.
Her early leaf’s a flower;                             La prima fogliolina è un fiore
But only so an hour.                                    che dura solo un’ora.
Then leaf subsides to leaf.                          Poi a foglia segue foglia.
So Eden sank to grief,                                Come l’Eden affondò nel dolore
So dawn goes down to day.                        Così l’Aurora affonda nel giorno.
Nothing gold can stay.                                 Niente che sia d’oro dura.

 

Le bulbose, nel mio giardino e nel mio cuore, hanno un posto speciale.
Per eccellenza, sono i fiori che simboleggiano la primavera, il risvegliarsi della natura, la gioia dopo il dolore, il colore dopo il buio e il grigiore dell’inverno. Dai bulbi affondati nel terreno freddo, che a partire dall’estate sembrano morti, dimenticati nella terra, senza più foglie nè segni di vita, spuntano invece i primissimi fiori dell’anno, già prima della fine dell’inverno.
I bucaneve, piccoli gioielli bianchi, spuntano (sarebbe, purtroppo, meglio dire “spuntavano”, vista la ormai scarsità di neve) proprio tra le neve che si scioglie, così come le campanelline bianche appena screziate di verde loro cugine.
E i crochi colorano intere distese di prati di bianco e lilla prima ancora che l’erba verdeggi.
E poi arrivano i ciuffi dorati dei narcisi cantati da William Wordsworth, i variopinti tulipani, i muscari blu cielo…

Ognuno di questi meravigliosi, precoci fiori, ci ricorda che dopo il freddo inverno, sterile solo in apparenza, ci aspetta una nuova vita, un nuovo inizio: colorato, allegro, felice e caldo.
Io coi miei fiori ci parlo, non li ascolto e basta. Li accarezzo, li sprono a fiorire ancora e meglio, li ringrazio per essere ancora vivi e rigogliosi, li fotografo e a volte, li faccio anche ascoltare insieme a me le mie playlist preferite. Quando canto anche io, però, chissà come mai, ho l’impressione che i fusti si affloscino un po’…

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