Inizia piano piano. Dolcemente, in modo simpatico, quasi affettuoso, anche. Premuroso, ti sembra. Lusinghiero, forse.
“Ti ho steso io la lavatrice, amore. Ti ho svuotato la lavastoviglie.”
E tu, grata, lo ringrazi.
“Oh, ma tuo marito (ti) aiuta in casa, che bravo!” detto con stupore.
“Il papà ti aiuta con il bambino? Oh che bravo, fa il mammo!”
E tu, orgogliosa, annuisci.
Solo che lui non ha aiutato TE. Non ‘aiuta’ proprio. E non è nemmeno ‘bravo’: collabora, fa il suo in una casa dove vive. E se bada ai figli non aiuta la mamma, fa semplicemente il papà. Perché, quel bambino lì, ha il 50% del suo DNA ed è suo quanto tuo.
Il padre è fuori casa a lungo per lavoro. E’ bravo, si sacrifica, lo fa per la famiglia. Lo fa la madre. E’ snaturata, egoista, non ama i figli nè il marito.
“Non hai freddo in gonna?”
“Che brava a metterti le gonnelline, ma ti piacciono? Non sono scomode?”
“Ma tu ti alzi prima per truccarti? Brava… io non ce la farei, devo fare tutto di corsa e poi non bado a certe frivolezze!”
”Ma perché non ti curi un po’ di più? Non troverai mai un fidanzato se sei grassa e sciatta!”
“Sei troppo magra, non sai che agli uomini non piacciono le ossa da toccare?”
“Che magra, ma mangi? Rilassati un po’, anche se ingrassi, ormai, sei sposata…”
“Quando ti sposi?”
”Ma non volete figli?”
“Una donna senza figli è una donna a metà.”
“Non puoi lasciarti i capelli grigi, sembrerai una vecchia befana!
“L’uomo brizzolato è affascinante.”
“Il rossetto rosso è volgare.”
“Dopo i 50 anni niente più minigonne né capelli sotto le spalle.”
“Ma tuo marito non dice niente se la sera esci da sola? E vestita così?”
In corsia, alla donna in camice ‘Signorina’ e non ‘dottoressa’
In concessionaria ‘aspettiamo che arrivi suo marito?’
Al colloquio di lavoro “Signorina, se lavora con la nostra azienda deve garantire flessibilità di orari, e una donna della sua età vorrà dei figli/ha figli piccoli?/ programma di averne in futuro?”
Cercasi commessa bella presenza
“Al ristorante, al bar, al cinema paga l’uomo.”
“Come sei suscettibile! Hai il ciclo?”
“Quella lì è così acida perché non fa sesso”
“È insopportabile, sarà in menopausa!”
“Quella sì che è una donna con le palle!”
“Beh, si sa… l’uomo è cacciatore. La donna fa sesso solo per amore.”
“Che lavoro di prestigio! chissà a chi l’ha data per essere lì!”
Una donna viene stuprata. Le viene chiesto come era vestita, insinuando, nemmeno velatamente, che se lo sia andata a cercare, che lo abbia provocato lei. In un ripugnante rovesciamento delle responsabilità, lei, la vittima, diventa colpevole.
E se era ubriaca, è un’attenuante per lo stupratore.
Se lo stupratore era ubriaco, è – di nuovo – un’attenuante per lui.
“Quello sì che è un dritto: non se ne lascia sfuggire una!” (con compiacimento e ammirazione)
“Quella lì è una zoccola (o tr… putt… cagna…): si farebbe anche suo nonno!”
“Quella milfona ha un toy boy di vent’anni di meno! Lo ricoprirà di regali, altrimenti non si spiega!’
“Quello sì che è un figo: la sua compagna ha vent’anni di meno!”
“A quella lì piace il… (termine volgare per indicare il pene), si vede subito che è una.. “(altro termine volgare e spregiativo per indicare una donna di ‘facili costumi’. Perché si sa: una donna a cui piace fare sesso, ancora oggi è considerata una poco di buono.)
Ma se a un uomo – giustamente – piace fare sesso, allora è un “figo, furbo, volpone, dritto”… e già la parola “dritto” evoca il pene eretto e quindi ovviamente una caratteristica positiva, benevola, potente.
Azioni, gesti, parole inqualificabili.
E ce ne sarebbero, purtroppo, milioni di altre e altri da raccontare.
Il linguaggio, la scelta delle parole, è un potente, forse il più, potente, mezzo di comunicazione. Ma non è l’unico.
Comunichiamo con il nostro corpo, con la gestualità, con gli occhi, con le espressioni del viso.
Tutto, in fondo, è comunicazione.
Ma, tornando alle parole, la loro scelta, a meno che non si tratti di casi limite con un lessico ridottissimo per qualsivoglia motivo, sono determinanti per comunicare anche quello che non vorremmo, consciamente, forse ammettere.
La lingua italiana non è l’inglese, che non specifica il genere.
Ma sappiamo bene che è una lingua, seppur bellissima, maschilista: il plurale ha la forma maschile anche in una frase in cui il termine maschile è uno e i femminili sette. Ho dei figli: e magari sono 6 figlie femmine e un maschio.
Anche se, per fortuna, ora si tende a specificare, o a usare la schwa o l’asterisco, che però incontrano molte resistenze, anche da parte degli accademici.
Se usare il femminile per lavori ritenuti, da sempre, ‘da donna’, come la maestra, l’ostetrica, l’infermiera, la segretaria, la sarta, la cameriera… è prassi comune, le cose però cambiano quando ci si riferisce a impieghi, ruoli, cariche che invece, sino a pochi decenni fa, erano prerogativa maschile.
Una preghiera, o invocazione, si riferisce alla Madonna come ‘avvocata nostra’. Eppure, è raro sentir definire una donna avvocatA. Ma anche sindacA, assesorA, chirurgA…
‘Suona male’, dicono i recalcitranti.
Oppure, risposta forse ancora più odiosa: “i problemi sono ben altri!”
E certo, si sa che il benaltrismo ha portato a grande progresso! Dire che i problemi sono altri è il primo, e più sicuro passo, per non risolverne nemmeno uno. E certamente non questo, che sarebbero di facile soluzione, almeno.
Perché tanta resistenza a declinare le parole al femminile? Chiedetevelo, la prossima volta che vi verrà da dire ‘i problemi sono altri’.
Le parole sono il frutto dei nostri pensieri. E pensiamo ciò che siamo.
E definiamo ciò che pensiamo e siamo.
Ricordiamocelo, tutti. Se vogliamo davvero l’uguaglianza tra i sessi, la pari dignità, i pari diritti.
Siamo diversi, ma i diritti, le opportunità, la dignità devono essere gli stessi, sempre.
Purtroppo però, mi sembra che la strada da percorrere sia ancora molto lunga, e tortuosa…
Sandro Llbar
Io vado a fare i contratti dalla ” notaia”…
Grazie signora