Betania oggi ha più o meno mille abitanti, ma ottanta anni fa erano qualche decina, tra i quali c’era la famiglia dei miei nonni e bisnonni paterni.
Ebbene, tra queste poche decine di persone, ben tre donne vennero catturate e deportate a Dachau. Le tre donne erano Maria, la moglie di Angelo Pillinini “Angjielin Biliac”, collaboratore dei partigiani col nome di “Tenente Bevere”, Cargnelutti Gentile, madre di un partigiano e Maria Agata Bonora detta Aghite, a cui è intitolata la via di Betania che passa proprio dove un tempo sorgeva la sua casa. Aghite aveva troppe colpe agli occhi di fascisti e nazisti: tre figli partigiani e un quarto internato e un marito collaboratore dei partigiani. Ma la colpa più grave di cui si macchiò, Agata la commise sfidando apertamente i tedeschi durante il funerale di Renato Del Din.
Renato Del Din, sottotenente della Brigata Julia, si unì ai partigiani col nome di “Anselmo” e fondò con altri compagni la brigata Osoppo-Friuli.
La notte tra il 24 e il 25 aprile 1944 Del Din e i suoi compagni assaltarono la caserma fascista di Tolmezzo. Aveva 22 anni e venne ucciso, crivellato di colpi. I tedeschi imposero che il suo funerale, destinato per il 27 aprile, si facesse alle 7 di mattina, e che il carro funebre passasse fuori dal paese, con divieto assoluto per la popolazione di Tolmezzo di accompagnare “Anselmo” al cimitero.
Quando però il triste corteo costituito solo dal prete, i chierichetti e i militari giunse al bivio con la strada che portava al cuore del paese, si trovò davanti una donna, che con la dignità e la fierezza di una guerriera prese decisa le briglie di uno dei cavalli da tiro e sentenziò, per nulla intimorita dai soldati:
«Si va di cheste bande ca»… si va da questa parte.
E li diresse verso il centro.
Quella donna era Agata.
Altre donne si aggregarono al corteo: Cargnelutti Gentile, Menchini Sara e Marini Franca, fiere e coraggiose come Agata, sfidando fascisti e nazisti, e a loro si unirono altri e altri ancora, sempre più numerosi, finché non furono in centinaia, e qualcuno appoggiò un cappello con la penna nera sulla cassa.
Poco tempo dopo Agata venne catturata e deportata, mentre suo marito venne prelevato in casa da uno squadrone di miliziani e ucciso con un colpo alla nuca, dopo aver dovuto scavare la sua stessa fossa, in una località conosciuta da noi betaneots e tumiezins come “la braide di Taresute”. Il corpo lo ritrovò a fine guerra mio nonno Giuseppe (Bepo Cane) mentre arava un campo con l’aratro tirato dai suoi cavalli.
Gusto Vidoni, il figlio del titolare dell’impresa di pompe funebri “Massâr”, dovette scappare via dal Friuli dopo il funerale di Del Din per non essere internato anch’egli.
Maria, Gentile e Aghite tornarono a casa a piedi a fine guerra, con la divisa a righe bianche e blu, rasate a zero, scheletriche e con chissà quali memorie di orrori nel cuore e nella mente. Aghite morì poco dopo, troppo debilitata dalla prigionia.
Quando ero piccola, mia nonna mi raccontò più volte la loro storia, e mi cantava con tristezza infinita anche una canzone della Val Degano in memoria di una ragazza punita con la gogna e la rasatura dei capelli dai fascisti per qualche motivo, forse aver rifiutato le avances di uno di loro…
“E la fio di Marìo
Blancjio e roso come un miol
L’an poado sun tun cioc
L’an tosado duto a roc
La plui bielo incatramado…”
Così, nel caso qualcuno pensasse che certe cose non accadevano anche da noi. O non accadevano affatto, oppure, come se questo fosse in qualche modo meno mostruoso, accadevano solo a ebrei, Rom, Testimoni di Geova, disabili o omosessuali.
#iostoconlilianasegre
*Per chi desiderasse rendere omaggio silenzioso, in via Del Din a Tolmezzo, una targa ricorda il gesto eroico delle quattro donne che concessero al giovane Anselmo di avere una degna sepoltura.
Grazie a mio zio Valter Baisero per le informazioni che mi mancavano e non avrei saputo dove reperire. Guai chi no ti ves! ❤
Mara
Grazie di cuore, mi hai fatto venire i brividi quando hai esposto molto chiaramente la storia di mia nonna Agata.
Mio padre Ernesto mi diceva che le assomiglio nel carattere.
vienincarnia
Grazie Mara! Che grande onore e orgoglio avere il suo sangue nelle vene!
Mara
Si. Anche se la mia famiglia, ha pagato uno scotto molto alto.
Mia zia Lucia era piccola quando è stata deportata sua madre e la sorella di Agata, l’ha tenuta con sé. Mio nonno GioBatta era stato preso dai miliziani e dopo sommario processo, senza nessuno che potesse difenderlo, mi fatto scavare la buca e ucciso con un colpo alla testa. Ho i documenti del suo ritrovamento. Oggi 2 novembre sarebbe stato il compleanno di mio papà. Con questo articolo mi avete fatto un regalo.
vienincarnia
Grazie. E tu l’hai fatto a me leggendolo e apprezzandolo, e a noi tutti condividendo questi ricordi. Mio nonno Bepo ritrovò il povero corpo di tuo nonno, mia nonna Lina me lo raccontò, ma solo quando fui più grande… il resto sono racconti di quando ero piccola, lei e zio Nicolin mi cantavano la canzone e raccontavano “lis storis di une volte”… poi purtroppo la memoria si perde, e per fortuna mio zio Valter ha colmato le lacune permettendomi di scrivere il post e rendere, almeno spero, onore a queste donne valorose, forti e piene di dignità.
FABIOLA FILIPUZZi
Bellissima storia da diffondere….si sappia cosa è stato il fascismo….
olgited
Bellissimo post che rebloggo,grazie!
vienincarnia
Grazie!
olgited
L’ha ripubblicato su friulimultietnico .
Anna pugliese
Grazie della preziosa testimonianza Antonella . Da “ foresta” mi sono sempre chiesta perche in Carnia , la “ libera repubblica “ più grande della penisola , non sia stata raccontata . Perché non esista un museo che racconti di quel difficilissimo 1944 , delle vittorie , delle sconfitte , dei cosacchi , del ruolo delle donne ( fondamentale ) . Ci sono figure meravigliose che sarebbe bello non dimenticare
Antonella Copetti
Grazie a te!
Sì hai ragione, questa storia è pressoché sconosciuta alla maggior parte delle persone, ed è un grande peccato!
Spero di aver, nel mio piccolo, contribuito a farla conoscere
Federica Nodale
Ancora una volta la forza e la determinazione delle donne DI UN TEMPO è ammirevole…
Tenaci e coraggiose più degli uomini, temprate dalla vita e orgogliose nel sentirsi utili per portare umanità in un mondo dove la guerra non è è non sarà mai finita.
Evviva le generazioni di un tempo.
Gli anziani di ora.
E non noi adulti o giovani rimbambiti da tv e cellulari.
Loredana Posar
È la strada dietro casa mia e quando leggo quel nome non posso non ricordare quella storia ❤️
Marina Galassi
Anch’io non conoscevo questo episodio, ma anche a Roma, nella nostra famiglia e nei nostri amici, abbiamo avuto testimonianze più o meno eroiche di una umanità, che non era facile esprimere data la situazione. D’ora in poi unirò questa vicenda alle altre della mia privata storia, in cui la parola Umanità si deve scrivere con la U maiuscola.