I proverbi, i modi di dire, i motti, spesso sono degli indicatori della cultura popolare, delle tradizioni e dei valori del luogo dove sono diffusi, e quelli in uso in Carnia, o forse sarebbe meglio dire in tutto il Friuli in generale, ne confermano questa lettura in chiave antropologica .
I carnici si sono sempre contraddistinti per il loro carattere timido e chiuso, diffidente verso gli estranei, per la loro caparbietà e soprattutto, per la loro dedizione al lavoro.
Questa dedizione al lavoro un tempo era così estrema da far sì che ci fosse un’identità tra la persona, di solito l’uomo, e il mestiere che svolgeva o le varie attività in cui era impegnato anche nel tempo cosiddetto “libero”, come il procurarsi la legna per l’inverno, la fienagione, la coltivazione dei campi o lavori di edilizia o falegnameria. Così un saluto diffuso era “Ce lavoritu?” (a cosa stai lavorando?) al posto del “Cemut stastu/sestu?” (Come stai?)
Anche la proverbiale – appunto – riservatezza dei carnici si riflette in vari proverbi, incomprensibili a chi viene da fuori: “ognun bale cun so agne” letteralmente “ognuno balla con sua zia, i.e. ognuno si faccia gli affari suoi”, oppure nell’esclamazione, che ribadisce ancora una volta l’importanza del senso del dovere, oltre che della riservatezza “fai il to fat”: fai il tuo dovere, fai quello che devi fare (senza impicciarti negli affari altrui); oppure nel detto “plui si mescede e plui a puce”, più si mescola, più puzza: più si parla di una cosa, più la si ingigantisce. Quindi, la soluzione migliore davanti ai pettegolezzi è il silenzio, in modo da spegnerli sul nascere.
L’agne, la zia, ritorna anche nell’esclamazione “to agne!” che in italiano viene reso con “tua nonna/tua sorella”. Per quale motivo per il carnico/friulano la zia abbia questa posizione di rilievo nei modi di dire non lo sappiamo, ma la troviamo una cosa curiosa. Il barbe, lo zio, invece, non è mai citato in proverbi o esclamazioni colloquiali, che a noi risulti.
Presto aggiungeremo altri proverbi e modi di dire, alcuni davvero particolari e simpatici. Stay tuned!
G
(per quello che so) in breve alle feste di paese era un problema per i ragazzi/adolescenti ballare e “farsi vedere” perché era già troppo compromettente solo ballare assieme ad una ragazza… la quale , quindi, si sarebbe concessa al ballo molto difficilmente.. e non con uno che non sapeva ballare
Le ragazze, però, potevano ballare tra loro fin da bambine… i maschietti no … a meno da dare adito a chicchiericci inopportuni…
Come fare allora?
Ecco che entra in campo la zia, che era già sposata etc etc ma ancora avvenente.. e le più belle erano più gettonate .. e di qui per evitare “overbooking” 🙂 ciascuno doveva ballare con la sua… così si faceva vedere bravo a ballare e poteva “osare” chiedere per ottenere più probabilmente un “sì” al ballo..
nel modo di parlare comune il motto è spostato sul “ciascuno faccia con il suo e/o con le proprie possibilità senza contare su aiuti esterni”
Roberto
In realtà spesso si trattava della zia zitella o vedova..Difficilmente il marito poteva permettere una cosa simile..anche con il nipote! Altri tempi..